Proverbi del coso e della cosa

TIRA PIÙ UN PELO DI…: I PROVERBI A SFONDO EROTICO-SESSUALE

a cura di Valentina Fanelli*

I PROVERBI

I proverbi sono l’espressione poetica del sapere popolare. Perché sia un’espressione del sapere popolare lo si vedrà tra poco, per capire perché tale espressione sia poetica bisogna saltare qualche paragrafo e andare direttamente alla sezione “Proverbio e poesia”.

Il proverbio è un’espressione linguistica dalla forma lapidaria, secca e sentenziosa. Esso può essere pensato come un segnale: indica la giusta direzione da prendere. Nel proverbio sono contenute massime condivise da tutta la comunità e riguardanti vari aspetti della vita quotidiana, dai fenomeni atmosferici alle relazioni tra persone. Non porta la firma di nessun personaggio illustre, ma appartiene a tutti.  I proverbi  raccontano usi e tradizioni, credenze e mentalità, sono espressione di quella che viene definita saggezza popolare: rosso di sera, bel tempo si spera non è altro che il risultato dell’osservazione del cielo dai campi, un’osservazione che diventa un sapere; mogli e buoi dei paesi tuoi traveste con l’immagine degli elementi immancabili in una società agricola il suo forte campanilismo:  il contatto con popoli di altre terre o semplicemente con persone del villaggio vicino porta sempre brutte sorprese, perciò è meglio accoppiarsi con chi si conosce.

La caratteristica più evidente del proverbio è che pur passando gli anni, pur rielaborato in numerose varianti regionali, il suo valore semantico resta inalterato. Sul territorio nazionale possono trovarsi varianti dialettali della stessa matrice in cui, nonostante le differenze fonetiche o lessicali, il contenuto rimane di fatto immutato. Il proverbio non ha un’origine temporale né topografica: è eternamente valido ad ogni latitudine e il motivo è da ricondurre ai valori semantici sempre vitali perché condivisi. La sua conservazione è determinata dal persistere delle attività che richiamano, come il mondo agricolo o l’amore, e dalla verità che in essi è raccolta: le massime sulle condizioni  meteorologiche (rosso di sera, bel tempo si spera; per la santa candelora, se nevica o se plora dell’inverno siamo fora, ma se l’è sole o solicello siamo sempre a mezzo inverno), sul mondo agricolo (chi ara dritto, va in miseria), sui doni o sui rapporti tra parenti (a caval donato si non guarda in bocca; parenti serpenti) raccontano aspetti sempre veri della realtà, abitudini, comportamenti, condannandoli o lodandoli. Spesso, sono essi stessi metafore di situazioni più generali, come il già citato chi ara dritto, va in miseria: nato in contesto agricolo,  richiama più in generale il comportamento onesto, che però non porta frutto.

Chiaramente, nel proverbio compaiono anche elementi della cultura materiale, il cui termine rimane anche quando l’oggetto designato non si conosce più. E’ il caso del siciliano mi metti firrizzi ‘mmezzu li piedi (ferrizze era un particolare tipo di sedia realizzato con pezzetti di ferula, in seguito interpretato generalmente come sedia) o di tutti i nodi vengono al pettine (il pettine in questione era quello del telaio). La parola persiste, ma in una accezione diversa quando viene a cambiare la cultura materiale di riferimento: saranno le nuove generazioni a caricarlo di un nuovo significato, ricavandolo dal senso complessivo.

Il proverbio non si limita a osservare la natura e la società per indicarne dinamiche sempre presenti, ma è molto frequente che si faccia disprezzatore indignato di certi malcostumi. Il suo carattere tende  ad essere didattico e moralistico, fornendo gli esempi di comportamento da evitare o da emulare.

Tale carattere diviene spesso il motivo della sua diffusione a vari livelli (ad esempio, per il tono edificante compare nelle omelie dei predicatori) e sulla base di questi tratti lo si può accostare a favole, storielle, racconti e leggende (non è un caso che nello spagnolo del Duecento-Quattrocento fabliella e varianti indicassero sia i proverbi sia le storie così come in ebraico maschal). Le storie da un lato rappresentano la genesi del proverbio, ma dall’altro ne sono il punto di arrivo: da un fatto unico si genera un detto che poi diventa proverbio per il successo e la ripetizione anche nelle generazioni successive, oppure dal proverbio scaturiscono racconti volti a mutarne il carattere da astratto e generico a specifico, rendendolo adattabile a vari casi. Se l’origine di un detto si può ricondurre ad un fatto specifico di cui narrano alcune favole create ad hoc (vd. Cornazzano e Fabrizi; Nikolaeva 1999), è la diffusione del detto, che corre di bocca in bocca fino a diventare patrimonio orale di una comunità, a determinare la nascita del proverbio. Questo non è, per dirlo con le parole di Bertrand Russel, l’ingegno di pochi e la saggezza di tutti, ma si si parla di proverbio solo quando esso è completamente assorbito dalla comunità, quando non si riconosce più l’autore, il momento, il luogo di quello che inizialmente era solo ingegnosa creazione linguistica di uno, il cui riutilizzo si spiega con la condivisione degli stessi valori semantici associati al detto e ancora condivisi attraverso le generazioni. La carica metaforica ne risulta, infine, accentuata e lo rende adattabile a numerosi casi.

Ciò che accosta i proverbi alle favole, si diceva, è il carattere moralistico, l’aspetto didattico, il suo valore di massima sapienziale. Nei proverbi si riconoscono insegnamenti sempre vitali, in cui affiorano tutti gli aspetti dell’agire umano, frequentemente in rapporto di corrispondenza con elementi e fenomeni tratti dal mondo vegetale (da qui derivano le prime similitudini; Bronzini 1999) e dal mondo animale. Tralasciando i vari campi in cui i proverbi abbondano, in questa sede ci occuperemo di quelli che hanno per tema l’eterna rivalità tra uomo e donna.

 

RAPPORTO TRA I SESSI

Nella rivalità tra uomo e donna, quest’ultima è la più quotata nei proverbi: ella compare molto più spesso che l’uomo. Il motivo è presto detto: in una società che per secoli prestava la sua voce esclusivamente all’uomo, a prevalere è proprio il suo punto di vista. Diversamente, i proverbi il cui soggetto è maschile sono molto rari, spesso formulati per ribattere ad altri con soggetto femminile, come chi dice uomo dice malanno in risposta a chi dice donna dice danno (Boggione 2005). Questi casi sono, però, esigui: la donna è per lo più relegata in casa, ad accudire i figli e a svolgere faccende domestiche, angelo del focolare, come certa retorica non troppo lontana proclamava ancora a gran voce.

Dietro il carattere misogino della maggior parte di questi proverbi, sembra intravedersi non solo una società maschilista, ma anche la paura di fronte ad un essere profondamente diverso, capace di ammaliarlo, spesso irragionevole e imprevedibile, ma anche capace di sopportare molte fatiche e non abbattersi, un essere che lo destabilizza e proprio per questo suo strano e incomprensibile carattere l’uomo preferisce tenersene lontano o lo percuote, perché picchiare una donna è un’opera misericordiosa e porta benefici: a picchiar la propria donna si liberano l’anime del purgatorio. Un noto studioso di questo tipo di espressioni, specie a carattere erotico, Walter Boggione, di fronte al prevalere di proverbi che demonizzano la donna e ne osannano al contrario le qualità di  lucerna della casa,  sostiene che “se gli uomini sentono tutta questa violenza, spesso più esibita che effettivamente praticata, […] è perché hanno paura delle donne. I proverbi dimostrano che la passività femminile non è una condizione, non lo è mai stata […]: si tratta -piuttosto- di un sogno maschile mai realizzato” (Boggione, 2005: 6). Nei proverbi compare il tentativo di domare un essere indomabile, pericoloso perché sconosciuto, profondamente diverso dall’universo maschile, un tentativo però che resta solo a parole. E inevitabile è il conflitto interiore nei confronti delle donne, tra il disprezzo e il non poterne fare a meno: non c’è sabato senza sole, non c’è donna senza amore; quando l’uomo canta vuole la moglie, quando l’asino raglia vuole la paglia. 

 

I PROVERBI A SFONDO SESSUALE

Il mondo dei proverbi non tiene conto delle convenzioni anzi, per dirla con un modo di dire, “non ha peli sulla lingua” e critica, giudica, sentenzia senza curarsi della potenziale carica offensiva del contenuto. Il proverbio è sempre autentico e diretto. Per questo non ci sono remore nell’uso dei termini tabuizzati come quelli che si riferiscono agli organi genitali.

Questi compaiono talvolta esplicitamente, talvolta sono sostituiti da altri il cui richiamo non è determinato da affinità né da contiguità, ma dal riferirsi ad oggetti rispetto ai quali sono complementari o condividono un comportamento, un uso o una funzione. Così in il lavello vuole il cappello, con la variante la pentola vuole il coperchio, lavello e pentola sono i corrispettivi delle parti femminili, viceversa il cappello e il coperchio di quelle maschili.

Il carattere allusivo e metaforico è sempre attivo ed ha doppia funzione: da un lato si usano immagini che richiamo appunto in modo allusivo la sfera sessuale, dall’altra è la sfera sessuale ad essere usata metaforicamente per richiamare casi di portata più generale. Quest’ultimo caso è dimostrato dal proverbio cazzo in culo non fa figli, solo erba pei conigli. Benché l’effetto non sia verosimile, la seconda parte contribuisce a corroborare l’idea dell’impossibilità della procreazione per via anale (e quindi dell’inutilità dell’atto, visto che produce cosa di poco conto). In realtà, l’espressione va colta nella sua generalità: abbraccia cioè una serie molto ampia di azioni che non producono un vantaggio evidente.

O ancora si può citare a bravo cazzo non manca mai favor: se è subito evidente il significato letterale di tipo sessuale del significato, non lo è meno il riferimento all’indiscutibile vantaggio di avere o offrire buone prestazioni, in qualsiasi ambito.

I proverbi citati sono proverbi dall’alto valore paremiologico (la paremiologia è la disciplina che studia i proverbi): in essi il significato letterale è solo apparente perché richiama in realtà un ampio ventaglio di significati in cui si può far rientrare un numero enorme di casi. Si tratta, in sostanza, di proverbi di larga generalizzazione semantica.

 

PROVERBIO E POESIA

Il proverbio ripropone in maniera spesso allusiva e metaforica aspetti del vivere quotidiano, offrendo dietro a espressioni dirette, aspre e spesso politicamente scorrette, verità popolarmente riconosciute. Nella combinazione tra forma e verità incontestabile, nella capacità di alludere a più contesti pur rimanendo uno il contenuto, sta in parte l’aspetto poetico di queste schegge di sapienza.

La funzione poetica del linguaggio non è peculiarità esclusiva della poesia, piuttosto è poetico ogni testo in cui essa sia predominante. La funzione poetica, inoltre, non si esaurisce in similitudini, metafore, metonimie e sineddochi, ma si estrinseca attraverso delle scelte stilistiche che fanno capo alla natura musicale del testo.

Nel proverbio si può intuire una forma di poesia popolare dove accanto alla massima sapienziale è rispettata una certa forma, spesso diadica, o l’inversione delle parti specie nome-verbo e verbo-nome. Non è infine da sottovalutare l’aspetto ritmico e la ricerca della rima: la cadenza musicale del proverbio diventa garanzia di diffusione e continuità. Inoltre, la rima scelta, seppur svincolata dal reale effetto della prima parte, ha tuttavia lo scopo di enfatizzarne il contenuto, riallacciandovisi in maniera allusiva. Spesso non c’è contiguità, ma si tratta piuttosto di immagini paradossali, come nel già citato cazzo in culo non fa figli, solo erba pei conigli.

Quest’ultimo caso permette di evidenziare un altro aspetto caratteristico dei proverbi, ossia quella che prima si è definita struttura diadica: in essi si nota una divisione netta in due parti, quasi due emistichi di un verso, dove la seconda tende a rafforzare il significato della prima (quando l’uomo canta vuole la moglie, quando l’asino raglia vuole la paglia) o viceversa vi è contenuto il messaggio principale, accennato nella prima (non c’è sabato senza sole, non c’è donna senza amore). Il ricorso a questa struttura non è casuale, anzi è una prerogativa di quasi tutti i proverbi (quasi tutti perché talvolta la struttura è trimembre): lo scopo è rafforzare il contenuto semantico attraverso un paragone con elementi tratti dalla natura; il ripetersi della cadenza musicale nei due membri, infine, contribuisce ad accentuarne l’effetto.

In realtà, questo aspetto non è sempre evidente, anche se di fatto lo è molto frequentemente. Si pensi a proverbi quali cielo a pecorelle, pioggia a catinelle o a rosso di sera bel tempo si spera. In questi casi la rima è presente, ma avrebbe potuto non esserci, come a caval donato non si guarda in bocca. Con quest’ultimo esempio si potrebbe obiettare che non sono nemmeno rari i proverbi con un solo membro: a onor del vero, in casi di questo tipo si noterà una cesura interna tale da operare una divisione in due parti caratterizzate dalla stessa sonorità (a cavál donáto || non si guárda in bócca). Perché ci sia sonorità e melodia non è necessario che vi sia anche la rima; anzi, la rima è un accorgimento successivo, sicuramente d’aiuto alla memorizzazione e alla conservazione del proverbio. Ma se il ricordo di un proverbio fosse affidato esclusivamente alla rima, non si spiegherebbe la conservazione di proverbi che ne sono privi (carne di culo non va in paradiso).

Il fatto è che i proverbi sono caratterizzati da una sonorità propria che si materializza nella riproduzione delle sillabe toniche nelle stesse posizioni, a volte anche delle vocali toniche stesse o nella combinazione vocale-consonante, in modo da creare assonanza, consonanza o rima (porta stANcA || diventa sANtA; Acqua fREscA e vino pURO, fica stREttA e belino dURO; il mestiere della sEGA || allunga le braccia e accorcia la tEGA).

Quando si ricorre alla rima, però, l’effetto deve essere amplificato, deve ricalcare in modo umoristico o sarcastico concezioni calcificate nella cultura. Nel noto proverbio parenti serpenti (Eco 1985) la rima non nasce dalla casualità, ma è una scelta oculata: la rima, se da un lato è utile a fini mnemonici, dall’altro non può essere completamente svincolata dal contenuto, pena la comprensibilità e l’efficacia sentenziosa del motto. Se al posto di serpenti si dicesse sergenti, verrebbe a mancare tra i due membri quella relazione intrinseca che allude a una serie di comportamenti, quali l’astio, la falsità o il veleno che può serbare un parente.

Come nella poesia, così anche nel proverbio è la misura a imporre il ritmo, che è fonico e non semantico. Che vi debba essere un collegamento tra i due membri è una necessità di non poco conto: in il lavello vuole il cappellocappello è scelto in primis per la rima con lavello, in secondo luogo per la contiguità con oggetti che hanno la funzione di coprire, o chiudere riempendo, un altro oggetto, caratteristica che invece non ha il cestello (che con lavello condivide, oltre alla terminazione, la forma, con uno sviamento rispetto al senso globale desunto da cappello).

La rima è uno dei tanti artifici che si nascondono dietro il proverbio. Molto frequente è la metafora, ben visibile nell’ultimo esempio citato: il lavello è chiaramente l’organo genitale femminile, il coperchio quello maschile. Altrettanto diffusi sono la similitudine e il parallelismo (le donne sono come le chitarre: si suonano e si attaccano al muro; tale naso, tale fuso, tale la bocca, tale il pertuso; naso lungo, nerbo lungo). Particolarmente efficace per l’effetto comico che spesso produce è, infine, la paronomasia, una figura retorica che consiste nell’accostamento di due parole dal suono simile ma di significato diverso e spesso opposto. Ne consegue il rafforzamento del contenuto, non di rado a fini umoristici, come in chi dice donna dice danno: l’associazione donna-pericolo viene ricalcata e rafforzata dalla sostituzione (o più propriamente dall’inversione) delle vocali, producendo nel lettore maschio una piacevole compiacenza.

In conclusione, nei proverbi si crea un’immagine ritmica ripetuta nella stessa modalità nei due membri che lo compongono. L’effetto finale è quello di una filastrocca, di una cantilena senza tempo, e più una frase è “cantilenata” più assume un sapore di verità. Oltre al contenuto, dunque, anche la forma, non a caso poetica, ritmica e retorica, contribuisce a creare un alone di verità intrinseca e inviolabile, a conferire all’espressione un sapore di formula magica.

* Dottore di ricerca in linguistica

Bibliografia

Boggione V., 2005: Chi dice donna… 3587 proverbi sull’amore, il matrimonio, il tradimento, la gelosia…, Utet, Torino.

Bronzini G. B.,  1999: La logica del proverbio, Trovato S. C. (a cura di), Proverbi locuzioni modi di dire nel dominio linguistico italiano, Il calamo,  Roma.

Eco U., 1985: Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano.

Grasso S., Cundari C., Grasso D., Lo Presti M., Menza S.,  1999: A ciascuno il suo proverbio. Sull’instabilità, specialmente metrica, delle paremie, in Trovato S. C. (a cura di), Proverbi locuzioni modi di dire nel dominio linguistico italiano, Il calamo,  Roma.

Jakobson R., 1990: Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milan.

De Vita G., 1999: Proverbi e cultura materiale, in Trovato S. C. (a cura di), Proverbi locuzioni modi di dire nel dominio linguistico italiano, Il calamo,  Roma.

Nikolaeva G., 1999: Genesi del proverbio secondo le fonti paremiologiche italiane del Cinquecento, in Trovato S. C. (a cura di), Proverbi locuzioni modi di dire nel dominio linguistico italiano, Il calamo,  Roma.

Serianni L. 2010: Sulla componente idiomatica e proverbiale nell’italiano di oggi, in Lingua storia cultura. Una lunga fedeltà. Per Gian Luigi Beccaria. Atti del Convegno internazionale di studi (Torino, 16-17 ottobre 2008), a cura di P.M. Bertinetto, C. Marazzini & E. Soletti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 69-88.

Soletti E., http://www.treccani.it/enciclopedia/proverbi_(Enciclopedia_dell’Italiano)/

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